Il Rullo dei tamburi – Storie di Genoa(ni)

La prima volta di Andrea Arsì

di Massimo Tagino

Andrea era avvolto in una calda sciarpa rossoblu che portava fiero nonostante il caldo d’agosto e un’afa degna di questo nome. A nulla era servita la gazzosa bevuta di fretta e furia in un bar lungo il cammino verso lo stadio, anzi la gola era una caverna arida.

La lingua schioccava sul palato in cerca di liquidi .

Avanzava a passo spedito cercando di catturare quanta più ombra possibile dai tetti degli alti palazzi che stringevano i vicoli genovesi e il cuore batteva incontrollato.

Non era tanto per la fatica, a quindici anni non sapeva nemmeno cosa fosse, quanto per l’emozione.

Osservava l’angolo del caseggiato alla sua destra che nascondeva il “Luigi Ferraris” ma non il rullio ovattato dei tamburi che s’incanalavano nella strada come una eco ancestrale.

Era un suono ritmico simile a quello del film “Conan Il barbaro” che aveva visto qualche tempo prima.

Andrea stava compiendo un viaggio verso terre sconosciute, battaglie epocali fatte di vittorie e sconfitte, gioie e dolori, soddisfazioni e delusioni.

D’improvviso il Luigi Ferraris gli apparve in tutto il suo splendore, arancione come il sole al tramonto e mastodontico come un castello medievale le cui torri svettavano alte e fiere a guardia del loro popolo.

Andrea non aveva davanti a sé solo uno stadio, ma un’arena in festa.

Le mura si ergevano dritte e possenti come bastioni medievali e gli ultimi tifosi s’incolonnavano come soldati agli ingressi pronti a scatenare la loro battaglia sportiva urlando e cantando cori d’incitamento.

Lui non sarebbe entrato, non subito almeno perché non aveva il biglietto e avrebbe aspettato l’ottantesimo minuto quando la “fortezza” avrebbe aperto i portoni per consentire a tutti di assistere allo spettacolo.

L’emozione e la frustrazione si mescolavano in un connubio di sentimenti disorientanti ma i canti indomiti come la tramontana erano una scarica d’adrenalina che s’innalzava vibrante nell’aria. Ad Andrea sembrava di ascoltare il ruggito dei grifoni che evocavano gli Dei del calcio affinché spingessero la palla in rete.

Non era il solo all’esterno.

Poi d’improvviso lo stadio tacque in un silenzio sospeso e Andrea ebbe un sussulto quando quella tacita attesa divenne un’onda di urla gioiose capace di travolgere anche i cuori più freddi e distaccati.

Veloce si innalzò un canto che conosceva a memoria nonostante non avesse assistito ad alcuna partita:

“Sai, chi è, quel giocatore che gioca a calcio meglio di Pelé: Fontolan, Davide Fontolan!”

Il Genoa era in vantaggio sul Lecce dopo 18 minuti di gioco e di tifo incessante.

…finalmente giunse il suo momento.

Un rumore metallico segnava l’apertura dei chiavacci dei grossi portoni e Andrea poté fare il suo ingresso al Tempio del Genoa.

Corse con lo stesso impeto dei giocatori in campo, gli stessi che non aveva mai visto dal vivo percorrendo i corridoi del Luigi Ferraris senza respirare, trattenendo l’ossigeno in un attacco d’ansia che solo chi ama il Grifone può comprendere. La luce del sole trapelava sfocata cercando di farsi un varco tra la nebbia rosso e blu dei fumogeni, l’odore acre invadeva ogni pertugio ma la Gradinata Nord si aprì davanti a lui.

Giovani ragazzi, maestosi e indomiti, sembravano giganti immensi appesi alle balaustre e con le spalle rivolte al campo si sbracciavano e sbraitavano per coinvolgere migliaia di persone a proseguire a cantare, a tifare e Andrea si unì a loro.

Immerso in una mischia allegra, festosa, caotica e irresistibile cantava fino a sentire i polmoni chiedere una pausa e la gola bruciare.

Ma non smise nemmeno un attimo.

Dieci minuti di urla, canti, sbandieramenti ed emozioni durante i quali l’amore divenne una fede destinata a non abbandonarlo mai più e da allora, in Gradinata Nord, c’è un nuovo indomito guardiano a difesa del leggendario Grifone.

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