Gianluca, il papà prima del Capitano

Storie di Genoa

Articolo di Massimo Tagino

Il 17 marzo del 1960 nasceva Gianluca Signorini, un capitano destinato a entrare di prepotenza nei cuori e nella memoria di noi amanti del Vecchio Balordo e ho pensato a lungo a cosa e come scrivere per poterlo ricordare.

Più lavoravo a questo episodio di “Storie di Genoa” più mi rendevo conto di scrivere il solito articolo sulle gesta di uno degli eroi di Liverpool, sul suo essere Capitano nei momenti facili e in quelli difficili e della malattia: “La stronza” come l’aveva soprannominata un altro grande giocatore, Stefano Borgonovo.

Ma rileggendomi trovavo davvero riduttiva ogni parola che avevo impresso sui fogli di carta (ebbene si, la prima stesura la faccio ancora a penna), era un concerto di frasi fatte, idolatrie sportive e concetti così superficiali che mi facevano schifo.

Non le gesta, sia chiaro, era ciò che scrivevo a non piacermi perché non era ciò che sentivo di voler raccontare.

Poi, d’improvviso, l’idea.

Chiedere a sua figlia, Benedetta, di raccontarmi qualcosa di suo padre perché in fondo, Signorini, prima di essere il Capitano del Genoa era un papà, un marito, un essere umano. Avevo trovato la strada, approfondire qualcosa della sua sfera privata che potesse ricordare a noi tifosi che dietro a qualsiasi calciatore, c’è sempre un essere umano.

Sia quando li esaltiamo sia quando li insultiamo per una partita storta, un rigore sbagliato o una rete salvezza mancata, ci dimentichiamo di avere delle persone davanti, ognuno con i propri problemi e le proprie debolezze.

Preso dall’entusiasmo ho aperto Facebook e ho scritto un messaggio a Benedetta.

In realtà, immaginavo di non ricevere alcuna risposta.

Non perché non mi fidassi di lei o della sua persona ma perché io ero un perfetto sconosciuto e lei un personaggio pubblico, con mia sorpresa ogni timore è stato spazzato via in pochi minuti.

Dall’altra parte ho trovato una persona disponibile, gentile e umile che non solo mi ha risposto con la massima educazione ma ha anche accettato di rilasciarmi un’intervista grazie alla quale possiamo conoscere un pochino di più di Gianluca, il Papà prima del capitano.

Benedetta, intanto la ringrazio per la disponibilità all’intervista e le anticipo da subito che potrà decidere se rispondere a tutte o saltarne qualcuna (spoiler, ha risposto a tutte le domande). Vorrei iniziare l’intervista chiedendole qual è il primo ricordo che la lega a Gianluca come papà.

Quando penso a mio papà mi ricordo sempre del mare, è il primo ricordo che ho di lui. Passavamo ore a giocare insieme in spiaggia e avevamo un rapporto padre/figlia inspiegabile. Io ero la sua principessa e lui il mio eroe. Ci bastava uno sguardo per capirci e non abbiamo mai avuto conflitti. Eravamo complici in tutto e anche molto simili.

C’è qualche gesto affettuoso che Gianluca le ha lasciato? Qualcosa che ora è lei a trasmettere ai suoi figli?

Mio papà iniziava le giornate sempre con il sorriso e con un entusiasmo travolgente. Lo stesso sorriso che mi sono ripromessa di applicare con i miei figli.

Leggendo articoli, ascoltando interviste, guardando i racconti su Gianluca sento sempre rimarcare quanto fosse una persona con dei valori e delle qualità uniche ma in fondo non ho mai capito quali fossero davvero. Cosa lo rendeva speciale?

Gianluca credeva fortemente nella gentilezza e amava prendersi cura degli altri. Era una persona molto sincera. Non so se si possa definire un valore ma era anche molto testardo.

Purtroppo, che l’abbia voluto o meno, lei è diventata un personaggio pubblico e io posso solo immaginare quanto possa essere difficile. Sopratutto in un mondo “Social” come quello in cui viviamo basta una parola fuori posto per finire sotto l’occhio del ciclone. L’è mai pesato dover essere così “in vista”?

Le sembrerà assurdo ma no. Nonostante il destino avverso, parlo sempre di mio papà con il sorriso perché è riuscito a trasmettermi solo energia positiva. È stata dura durante la malattia, è innegabile, ma al tempo stesso ha rappresentato un punto di partenza perché si potesse lavorare a una cura. La decisione di mio papà di renderla pubblica ha dato il via a molte ricerche e questo non è un peso per me, tutt’altro. Inoltre, Gianluca è riuscito a mostrarsi sempre a testa alta anche durante la malattia e questo è stato un’incredibile esempio di forza e tenacia anche per me.

Da tifoso mi sono sempre chiesto quanto contasse la famiglia nella scelta professionale di un calciatore. Ha mai avuto la sensazione che anche Gianluca abbia deciso di andare in una squadra piuttosto che in un’altra per starvi vicini?

Mia mamma ha scelto di accompagnare mio papà ovunque andasse e noi ci spostavamo con lui quindi no, ha sempre preso le sue decisioni liberamente. Però per papà era importante averci sempre vicino. Da bambina non era sempre facile perché dovevamo cambiare scuola, trovare nuovi amici ma alla fine è stato qualcosa che crescendo mi è stato utile. Ho imparato subito ad adattarmi e non era un problema andare in posti diversi.

C’è un’ultima domanda a cui vorrebbe rispondere? Qualcosa che nessuno le ha mai chiesto ma che le farebbe piacere raccontare.

Nessuno mi ha mai chiesto cosa mi mancasse di mio papà.

Le sembrerà assurdo ma a me manca la sua voce. Il sentirmi chiamare, il poter parlare con lui! Purtroppo, la voce è stata una delle prime cose che la malattia le ha portato via. Mi consola il fatto di aver alcune interviste registrare e molte vole le ascolto.

Benedetta, la ringrazio di cuore per la disponibilità a rispondere a domande anche molto personali e intime, ho trovato una persona umile e per me è un onore poter scrivere di Gianluca con il suo supporto.

Ho sempre promesso a mio papà che nessuno lo avrebbe dimenticato, parlo sempre di lui perché vorrei che fosse un esempio e che la sua storia fosse ricordata. Il fatto che molti giovani sappiano di Gianluca per me è un grande risultato e continuo a impegnarmi ogni giorno! Sempre con il sorriso e senza mollare mai!

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Per storie di Genoa

Massimo Tagino

Gianluca, il Papà prima del capitano.

“Vivere nei cuori che lasciamo, non è morire” Thomas Campbell

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